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Luci a San Siro


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Titolo, e conseguente argomento, quasi scontato per questa 12esima giornata di campionato che ha regalato diverse sorprese sul campo e che ha vissuto un lunghissimo avvicinamento, come sempre in questi casi, al Derby della Madonnina di domenica sera. Partita alla quale si è arrivati dopo le due settimane di sosta che ci hanno restituito un’Inter con un allenatore diverso, con un nuovo sistema di gioco e un nuovo modulo. Dall’altra parte della barricata, il Milan ormai rodato dopo l’inizio di campionato si è dovuto preoccupare solo delle novità che il nuovo Mister avrebbe potuto mettere in campo e studiare le eventuali contromisure.

È stato definito da molti alla vigilia un Derby “triste”, visto che ormai da parecchio tempo la stracittadina Milanese non è uno scontro diretto per i migliori posti in campionato, ma una partita tra due squadre deluse dal periodo e dalla stagione in corso che cercano tre punti nella partita più importante della stagione per risollevare il morale dei tifosi più scettici. Il segno dei tempi che cambiano è percepibile già allo scambio dei gagliardetti, i capitani sono Mexés e Ranocchia, a dimostrazione che i tempi in cui le vere bandiere delle due squadre sono ben lontani e che forse i detrattori di questa partita non hanno tutti i torti. Ma in realtà, secondo la mia visione delle cose, la partita non è stata così brutta come poteva essere. Ci sono stati tantissimi errori da parte di entrambe le squadre, alcuni madornali e che hanno inciso in maniera decisa sul risultato finale (1-1 Menez e Obi) come quello di Icardi sullo 0-0 e la traversa clamorosa di El Shaarawy sull’1-1 che trema ancora, e forse lo farà a lungo, nei pensieri dell’attaccante rossonero. Il Mancini bis inizia con un 433 inaspettato con Kovacic spostato a sinistra forse per mettere in difficoltà il terzino improvvisato Rami, che però risponde alla grande e gioca una delle sue migliori partite coprendo benissimo e ripartendo sulla fascia quasi fosse il suo ruolo naturale. Al Croato e a Palacio, Mancini chiede anche di tornare a coprire e il risultato è che ancora una volta l’argentino resta a secco. Sorte non molto diversa tocca all’omologo rossonero: il risveglio di Torres sembra, ahimè, molto lontano. Praticamente non vede mai la porta e non gli riesce neanche il classico lavoro sporco utilissimo per la squadra che, solitamente, attaccanti del suo calibro, con la sua struttura fisica e il suo talento, sono sempre in grado di svolgere. Entrambe le squadre mancavano di qualità a centrocampo e se per l’Inter non si scopre alla 12esima giornata di questo campionato, il Milan era abituato ad interpreti migliori. Pesa tantissimo l’assenza di De Jong, momentaneamente infortunato, e anche quella del lungo degente capitan Montolivo col passare delle settimane si fa sentire più delle altre. Fortunatamente per Inzaghi il rientro dei due centrocampisti è molto vicino e potrà iniziare a lavorare presto con quella che lui ha sempre definito la sua formazione ideale. Per Mancini il lavoro è appena cominciato, e come anticipato in un precedente articolo nemmeno per lui sarà breve e facile da compiere, ma almeno non dovrà gestire un ko nel Derby che avrebbe potuto lasciare scorie pericolose all’interno dell’ambiente tutto. Insomma, questo è stato decisamente uno di quei Derby vinto dalla paura: dalle tribune dello stadio la sensazione che nessuna delle due squadre volesse attaccare per paura di scoprirsi era palese. La filosofia dei minuti finali era chiara: meglio un punto guadagnato, che due punti persi. Di conseguenza, la classifica resta invariata, un punto a testa che, in una giornata che ha visto le battute d’arresto di Napoli e Samp, poteva sorridere in maniera più convinta ad una delle due sponde di Milano.

Poco più di una decina di anni fa il Derby decideva una semifinale di Champions, oggi può essere utile per decidere la corsa ad un posto in Europa League. Se è il contenuto della partita ad aver perso di fascino, di sicuro non l’ha fatto il contenitore: San Siro tutto esaurito, atmosfera da brividi, coreografie mozzafiato e cori continui per 90 minuti. Essere allo stadio è stata davvero un’esperienza indescrivibile che consiglio decisamente a qualunque tifoso di una delle due squadre almeno una volta nella vita. Da segnalare come, in virtù del patto di non aggressione siglato dalle due curve nel lontano 1983, non ci siano stati episodi di violenza. Afflusso e deflusso da e per lo stadio sono stati ordinatissimi, con tifosi delle opposte fazioni a camminare vicini, quasi in una processione pacifica verso quello che è uno dei templi più belli di questo Sport. A dimostrazione che il Calcio può essere vissuto in maniera bella, costruttiva, pacifica, amando la propria squadra e, soprattutto, questo magnifico Sport.

GA

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Ritorno Al Futuro


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La notizia clamorosa di questa mattina è ormai nota al grande pubblico: Thohir ha deciso di esonerare Walter Mazzarri dopo un anno e mezzo di rapporto burrascoso, nel quale non è mai sbocciato l’amore tra il tecnico Livornese e l’ambiente tutto. Per sostituirlo, la proprietà indonesiana ha deciso di percorrere la strada dell’ “usato sicuro”, richiamando alla Pinetina un allenatore che ha fatto sognare i tifosi e che riporta alla mente la grande Inter all’inizio del ciclo vincente di Morattiana memoria: Roberto Mancini è il nome scelto dalla società. Per lui contratto di due anni e mezzo per far tornare grande la sua amata Inter.

Quando è arrivato il comunicato ufficiale della società nerazzurra diverse sono state le reazioni nel mondo del calcio Italiano e fra i tifosi di tutta Italia. Personalmente (come già anticipato su articoli precedenti) ero uno di quelli che pensava che la colpa fosse in parte di Mazzarri ma che, effettivamente, con quella squadra si potesse fare poco di più. La verità è che appare chiaro anche dalle parole di Moratti, una di quelle persone che quasi meglio di tutti capisce quell’ambiente un po’ pazzo, è che il cambio si è davvero reso necessario. Fortemente voluto dallo stesso Moratti, Mazzarri era arrivato tra lo scetticismo generale dei tifosi che si erano innamorati di nuovo di un allenatore (il predecessore Stramaccioni) forse per la prima volta dai tempi di Murinho e che non hanno mai accettato di buon grado il cambio. Soprattutto non hanno mai accettato la gestione della squadra da parte di Mazzarri: troppi alibi, che spesso sapevano di squallidi tentativi di arrampicarsi sugli specchi, gaffe a ripetizione, mancanze di rispetto ad emblemi della recente storia nerazzurra che hanno portato l’ormai ex allenatore dell’Inter ad essere considerato scomodo da tutta la tifoseria della Curva Nord di San Siro.

Quello che serviva in questo momento all’ambiente era un ritorno alla vera e forte identità che è rappresentata da un uomo di fiducia, da qualcuno che la gente riconosca come davvero Interista, dopo gli ultimi mesti mesi passati un po’ come Nanni Moretti, parafrasando il suo film del 1998 “Aprile”, davanti alla tv pregando che Mazzarri o talvolta lo stesso Thohir “dicessero qualcosa di Interista”, capace di accendere gli animi di questi tifosi spenti dopo la rivoluzione post-Triplete. Per questo motivo i candidati principali alla successione sono stati fin da subito due simboli dall’importante significato: Walter Zenga, bandiera nerazzurra che ha difeso i pali della beneamata per 328 volte in 12 anni, e lo stesso Roberto Mancini, tecnico più quotato e mai dimenticato dai cuori Nerazzurri e forse secondo solo a Mourinho nelle preferenze dei tifosi. Mancini torna all’Inter più maturo dalle esperienze al Manchester City prima e al Galatasaray poi, con la sua solita idea di calcio che porterà di sicuro ad un cambio di modulo dopo il fallimento di Mazzarri e del suo 352. Il tecnico Jesino potrebbe infatti giocare di sicuro con la difesa a 4 e far tornare in auge all’Inter il ruolo del trequartista, dimenticato da Mazzarri, per impostare e costruire le sue azioni d’attacco. Ciò che è certo, per quanto mi riguarda, è che il solo cambio d’allenatore non può bastare a far diventare l’Inter una squadra da Champions. Può di sicuro riaccendere l’entusiasmo della squadra e dell’ambiente, ma dovrà essere adeguatamente coadiuvato da una serie di investimenti sul mercato, ferma restando la politica finanziaria del fair-play finanziario attuata dal tycoon Indonesiano. Dovranno quindi essere gestite al meglio le entrate e le uscite ed i relativi investimenti per migliorare la squadra e farla tornare ai fasti di un tempo non lontanissimo, ma dal quale sembra passata una vita intera (e 7 allenatori).

Guardando al breve termine, la settimana che aspetta il nuovo allenatore dell’Inter è di sicuro una delle più sentite ed importanti dell’anno, visto che porterà al Derby di Domenica 23 Novembre contro il Milan. Sfida come sempre ricca di fascino e piena di incroci, nella quale Roberto Mancini troverà Fernando Torres che durante il suo periodo al Liverpool eliminò l’ultima Inter di Mancini dalla Champions League portando il tecnico ad annunciare le dimissioni, poi ritirate, che portarono al successivo esonero del 29 Maggio 2008 dopo 3 Scudetti, 2 Coppe Italia e 2 Supercoppe Italiane. Dopo 6 anni lontano da quella panchina è pronto a ricominciare con la filosofia che lo contraddistingue, ribadita anche sul suo sito ufficiale: “Il tecnico perfetto non esiste. Esiste il più vincente in un determinato momento che non è necessariamente quello che porta a casa coppe o scudetti, ma piuttosto è un tecnico capace di dare un’impostazione a un gruppo e di ottenere risultati pur non avendo a disposizione undici campioni”.

Il “Ritorno al Futuro” del Mancio ha già il profumo del Derby.

GA

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